Le condizioni climatiche sono varie, influenzate da diversi fattori: l’orografia del territorio, la vicinanza con l’Equatore a nord, la presenza della corrente fredda di Benguela lungo la costa e la vicinanza del deserto del Kalahari a sud-est. Di conseguenza la vegetazione è assai diversa da zona a zona.
Nella zona a nord, molto calda e con forte piovosità, vi sono le esuberanti foreste pluviali.
Nella parte centrale, costituita da un vastissimo altopiano con una altitudine media di 1200 metri, la savana si alterna a basse e fitte foreste. Qui nascono i molti tra i grandi fiumi dell’Africa subtropicale. Non vi sono rilievi importanti, la cima più alta è il monte Moco con 2620 m. Le stagioni sono ben distinte: quella delle piogge, da ottobre ad aprile e quella secca, chiamata “cacimbo”.
Nella zona a sud, sud-est le piogge sono rare e la vegetazione prevalente consiste in una bassa e arida macchia spinosa. All’estremo sud il paesaggio è quello del deserto pietroso:
qui si può incontrare una pianta singolare, la Welwitschia mirabilis, considerata dai botanici un fossile vivente ed estremamente longeva (pare che alcuni esemplari abbiano 2000 anni), un autentico simbolo della capacità di sopravvivenza in un mondo ostile.
La fascia costiera lungo l’Atlantico è pianeggiante e ricca di belle spiagge. La parte meridionale, semi-desertica, con sporadica presenza di acqua segnalata da oasi verdi, ha un clima relativamente fresco per via della fredda corrente oceanica di Benguela, che lambisce le coste della Namibia e dell’Angola meridionale.
In tempi non lontani in tutto il territorio vivevano animali selvatici: elefanti, leoni, leopardi, ippopotami, rinoceronti, iene, sciacalli, molte specie di antilopi e di scimmie, inoltre coccodrilli, molti tipi di serpenti e innumerevoli uccelli.
Si ritiene che la popolazione originaria sia quella dei Boscimani, di cui sopravvivono ora solo piccoli gruppi che vivono in una zona interna a sud est del paese.
La maggior parte degli angolani proviene da popoli Bantu, che nel corso di varie epoche, a partire dal 5000 a. C., per motivi sconosciuti, emigrarono dal Nord e Centro Africa verso il sud, colonizzando vasti territori. Il termine “bantu” si riferisce non a una razza, bensì a un insieme di popolazioni, caratterizzate dagli stessi modelli culturali e da lingue simili. La parola “ntu” significa uomo, persona umana; il plurale è “bantu”, col significato di “esseri umani”.
I Bantu angolani si suddividono in 9 gruppi etnolinguistici: Bakongo, Kimbundo, Tchokwe, Ovimbundo, Ganguela, Nhaneca, Ambò, Herero, Xindonga, che a loro volta sono suddivisi in circa un centinaio di sottogruppi, tradizionalmente chiamati tribù.
I Bakongo vivono prevalentemente nel nord dell’Angola e nell’enclave di Cabinda, i Kimbundo sono concentrati principalmente nell’area di Luanda, i Tchokwe occupano una vasta area nel centro e nord-est, gli Ovimbundo, che costituiscono il gruppo più numeroso, vivono nell’area centro-occidentale.
I Ganguela, ritenuti i più antichi arrivati, vivono in due zone a est, mentre i Nhaneca, gli Ambò, gli Herero e i Xindonga si dividono le zone a sud.
Ma, accanto a questi gruppi etnici, significativi sono i segni della mescolanza razziale avvenuta nel corso dei secoli, sia tra i vari gruppi sia con i colonizzatori : il colore della pelle degli angolani può variare dal caffelatte chiaro al caffè scuro con tutte le gradazioni intermedie.
Vi sono anche un certo numero di angolani bianchi, discendenti da portoghesi qui rimasti dopo l’indipendenza. Attualmente l’ Angola ospita anche parecchi stranieri di varie nazionalità, in particolare cinesi, impegnati in vari settori lavorativi.
La religione prevalente è quella cattolica (50%), seguita da religioni tradizionali (33%), altre religioni cristiane (16%), musulmani (1%). Inoltre, si stanno diffondendo sette di recente nascita provenienti dal Brasile. Gli angolani hanno in genere un forte spirito religioso, ma non sono fanatici, al contrario spesso hanno credenze che spaziano in religioni diverse.
Il secondo fattore importante della crescita dipende dalla situazione politica stabile: il partito al governo (MPLA) è saldamente al potere e gode della fiducia della popolazione, avendo ottenuto nelle elezioni del 2017 il 61% dei voti. L’Angola è entrata a far parte dell’OPEC, di cui nel 2008 ha assunto la presidenza ed è stata eletta membro del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU. Il precedente governo ha stipulato importanti accordi commerciali con diverse nazioni, in particolare Cina e Brasile. Dal territorio stanno sparendo gradatamente i segni della guerra: molte zone sono state sminate, sono state ricostruite granparte delle infrastrutture ed anche il settore edile è in vertiginosa crescita, specie nelle città.
L’attuale presidente, João Lourenço, è sempre membro del MPLA (partito che controlla da tempo la macchina burocratica statale, i media e la polizia), ma è anche un politico popolare per le sue campagne anticorruzione, cui spetta il compito di cambiare uno dei paesi più ricchi ma anche più disfunzionali all’interno del continente africano.
Se qualche passo è stato compiuto nella lotta contro la corruzione e nella diversificazione dell’economia, sia per agevolare i rapporti col Fondo Monetario Internazionale, al fine di ottenere i primi prestiti internazionali, sia per aprire a partner europei e dipendere meno dalla Cina, poche sono ancora le riforme politiche.
Purtroppo, uno dei primi effetti delle politiche economiche adottate (che hanno incluso la crescente lotta ad ogni tipo di commercio illegale e l’introduzione dell’IVA nel 2019) è immediatamente ricaduto sulle fasce più deboli della popolazione (impoverimento, aumento dei prezzi dei generi alimentari e della violenza, conseguente alla disperazione).
La lotta alla povertà sembra lungi dall’essere stata vinta ed è difficile affermare che al forte sviluppo si accompagni un reale ed armonico progresso per il popolo angolano e per il suo territorio. In primo luogo le differenze tra città e zone rurali sono abissali: alla frenetica trasformazione delle città si contrappone la staticità dei villaggi, dove modi e ritmi di vita del passato permangono pressoché immutati: la maggior parte della popolazione delle campagne
e delle foreste continua a vivere in capanne prive di acqua, elettricità, servizi igienici.
Scuole e posti di salute sono presenti solo nei villaggi più grandi. I principali mezzi di sopravvivenza sono costituiti da un’agricoltura arcaica, dall’allevamento di piccoli animali, dalla produzione di carbone (venduto a sacchi lungo le strade), dalla pesca e dalla caccia alla poca selvaggina sopravvissuta alla guerra.
Ciò che può apparire come un modello di vita bucolico ed idilliaco a chi ha una visione romantica del mondo, viene vissuto nella realtà come una prigione da cui fuggire dalla quasi totalità dei giovani.
Per questo motivo, oltre che per quelli connessi alla guerra, le città sono state interessate da un fortissimo aumento di abitanti, mentre vastissime zone sono rimaste semi-deserte, alla mercé degli interessi di affaristi locali ed esteri. Con esclusione dei centri abitati, tutto il territorio appartiene allo Stato, che ha la facoltà di darlo in concessione. Tali concessioni hanno spesso privato la popolazione dei loro ancestrali diritti.
I segni più appariscenti riguardano il settore edilizio: i modernissimi e lussuosi edifici sorti nella zona centrale svettano sui vecchi quartieri africani, mentre le più recenti baraccopoli (musseques) si estendono a perdita d’occhio. In periferia sono sorte immense zone residenziali, che rimangono semi-deserte per la mancanza di acquirenti o vengono occupate (la fame di case è enorme ma i prezzi non sono accessibili). Nel centro della città il patrimonio edilizio lasciato dalla colonizzazione avrebbe urgente bisogno di manutenzione, per la quale in genere mancano le competenze. Quanto al verde pubblico, gli interventi si limitano alle aiuole delle strade principali.
Il traffico di Luanda è, senza esagerazione, infernale. La rete stradale è insufficiente oltre che scadente; poche sono le strade asfaltate e ben tenute, mentre la maggior parte sono di terra e divengono intransitabili quando piove. Il servizio di trasporto urbano è privato e costituito da pulmini o taxi collettivi chiamati “candongueiros”.
Qui il costo della vita, anche rapportato ai parametri europei, è astronomico: di conseguenza i beni di consumo sono poco o per nulla accessibili alla classe medio- bassa e bassa che costituisce la maggior parte della popolazione. Per contro i salari medi sono esigui, al di sotto della media europea. Ma la maggior parte della gente non ha un lavoro fisso e si arrangia come può con piccoli commerci più o meno legali. La popolazione più svantaggiata vive in condizioni miserabili, con una qualità di vita ben al di sotto della dignitosa povertà di chi vive nelle zone rurali.
In Angola, come in tutta l’Africa, esiste una solidarietà familiare allargata che attenua molti problemi, per esempio gli anziani raramente vengono lasciati soli (del resto non sono moltissimi dato che la speranza media di vita non è alta, anche se recentemente, finita la guerra, ha raggiunto i 61 anni).
Più problematica è la vita dei più giovani, in particolare dei bambini e ragazzi orfani.
Con una crescita demografica annua del 2,8 % e un tasso di fertilità medio di 6 figli/donna, l’Angola è una nazione giovanissima, in cui però buona parte della nuova generazione vive ai margini della società, cercando di sbarcare il lunario in qualche modo: le strade di maggior transito sono affollate da una miriade di ragazzi che cercano di vendere le cose più disparate.
Gli episodi di delinquenza giovanile preoccupano il Governo, che non risparmia misure di repressione, ma, nonostante le retate, le bande di giovani e giovanissimi che vivono di furti e rapine sono in aumento, specie a Luanda. Una delle radici del fenomeno sta certamente nel mix di visioni di ricchezza ostentata e di vissuti di estrema povertà economica e culturale, un’altra nel fatto che spesso la banda sostituisce la famiglia e rappresenta l’unica forma di protezione. L’attuale crisi economica non aiuta.
Il Governo ha promesso importanti interventi anche per la lotta alla povertà e per fini sociali, con particolare attenzione all’istruzione e alla formazione dei giovani.
E’ ad essi che spetterà il compito di proseguire l’opera di ricostruzione dell’Angola.